Lo screening neonatale è generalmente conosciuto come un test biochimico che consente l'identificazione nel neonato di diverse malattie congenite che, se non diagnosticate e trattate tempestivamente, possono causare ritardo mentale e/o di crescita, gravi danni permanenti e in alcuni casi morte.
Lo screening neonatale è un programma complesso, integrato e multidisciplinare di prevenzione sanitaria secondaria. Lo scopo del programma è quello di selezionare, su tutta la popolazione neonatale, i soggetti che presentano alterazioni biochimiche indicative di determinate malattie, procedere ad accertamento diagnostico e, in caso di diagnosi confermata, avviare il paziente al trattamento specifico per la malattia da cui è affetto e, quindi, seguirlo nel tempo.
È essenziale individuare la malattia prima che si manifestino i sintomi clinici associati dando ai medici la possibilità di avviare il miglior trattamento disponibile e, infine, di avere la migliore prognosi modificando il corso naturale della malattia. Gli attori di questo programma sono molteplici: i punti nascita ove viene effettuato il prelievo, i laboratori di screening neonatale che eseguono i test di screening, i laboratori di diagnosi biochimica e molecolare che confermano o escludono la diagnosi, i centri clinici che prendono in carico il paziente per il trattamento ed il follow-up, i vari organismi di coordinamento e di sorveglianza a livello regionale e nazionale. Il sistema screening coinvolge diverse categorie di professionisti come tecnici di laboratorio, chimici, biologi, genetisti, personale amministrativo, infermieri, dietisti e/o farmacologi, psicologi, medici esperti in disturbi metabolici, pediatri, medici di base e famiglie.
La storia dello screening come test di popolazione risale agli inizi degli anni '60 negli Stati Uniti d’America quando il biologo Robert Guthrie sviluppò un test di inibizione batterica semplice e poco costoso in grado di identificare l'aminoacidopatia più frequente: la fenilchetonuria. Questo metodo venne progressivamente applicato in quasi tutti i paesi, inclusa l’Italia (lo screening neonatale per la fenilchetonuria nacque in Liguria nel 1973 e venne gradualmente avviato su tutto il territorio nazionale). Nel decennio successivo prese il via sia negli USA che in Europa, Italia compresa, anche lo screening neonatale per l'ipotiroidismo congenito e, poi quello per la Fibrosi Cistica (attuati con metodiche diverse). Lo screening neonatale per queste tre malattie è diventato obbligatorio per tutti i nati sul territorio italiano con la legge n. 104 del 5 febbraio 1992 e successivi regolamenti attuativi. Alcune regioni effettuano lo screening anche per altre malattie congenite, quali l’iperplasia surrenalica, la galattosemia ed il difetto di biotinidasi senza copertura nazionale totale.
Negli anni ’90 lo sviluppo della tecnologia analitica, in particolare la spettrometria di massa tandem con sorgente electrospray, consentì la messa a punto laboratori di chimica clinica di metodiche analitiche versatili, specifiche e sensibili che permettevano di misurare molti biomarcatori in un'unica analisi molto rapida. I ricercatori che lavoravano nel campo dello screening neonatale intuirono che sfruttando questa tecnologia era possibile passare dal concetto di “un test – una malattia” a quello di “un test – molte malattie”, rivoluzionando di fatto l’approccio allo screening neonatale.
Infatti, la spettrometria di massa tandem può facilmente identificare e quantificare in 2 minuti circa, numerosi metaboliti come acilcarnitine, aminoacidi, succinilacetone e, più recentemente, alcune purine. Questi biomarcatori permettono di selezionare, in una fase molto precoce della loro vita i neonati che sono a rischio di sviluppare aminoacidopatie, difetti della beta-ossidazione degli acidi grassi, acidurie organiche, difetti del ciclo dell’urea e alcune immunodeficienze severe combinate. Oggi, considerando sia progetti pilota regolamentati a livello regionale o nazionale sia programmi nazionali strutturati, molti laboratori in tutto il mondo effettuano lo screening neonatale per 40 o più malattie con un solo test. Il numero di queste malattie non dipende dalla tecnologia ma dalle strategie di salute pubblica regionali o nazionali.
Esistono dei criteri universalmente riconosciuti perché una malattia possa essere inserita in un programma di screening neonatale. Quelli più noti, definiti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, risalgono al 1963 e sono conosciuti come criteri di Wilson e Jungner e fanno riferimento sia a caratteristiche della malattia (gravità, frequenza, possibilità di trattamento) che a quelle del test/programma di screening (appropriatezza, costi, accettabilità da parte della popolazione).
Nel corso degli anni e sulla base delle esperienze maturate a livello mondiale questi criteri sono stati discussi e, in parte, ridefiniti. In particolare per quanto riguarda l’esistenza di un trattamento efficace, si tende a considerare il fatto che lo screening neonatale ed il successivo trattamento possano cambiare la storia naturale della malattia. Un altro criterio non esplicitamente riportato ma altrettanto importante riguarda la possibilità di effettuare consulenza genetica e diagnosi prenatale nelle famiglie che abbiano già avuto un figlio o un parente affetto da una malattia metabolica. Recentemente la normativa italiana (legge 167 del 2016 e DM 13 Ottobre 2016) ha esteso lo screening neonatale a livello nazionale ad un pannello di circa 40 malattie metaboliche, che include anche la fenilchetonuria e le iperfenilalaninemie (già oggetto di screening obbligatorio), il difetto di biotinidasi e la galattosemia.
Da quanto sopra deriva che lo screening neonatale non può più essere considerato un test efficace e isolato di medicina preventiva ma è un sistema sanitario pubblico più integrato che coinvolge diverse categorie di professionisti come i tecnici di laboratorio, i chimici, i biologi, i genetisti, il personale amministrativo, gli infermieri, dietisti e / o farmacologi, gli psicologi, i medici esperti in disturbi metabolici, i pediatri e i medici di base e le famiglie.
Come funziona lo screening neonatale?
Fra la 48a e la 72a ora di vita, presso il punto nascita, viene effettuato su tutti i nati un prelievo di poche gocce di sangue che vengono depositate su un apposito cartoncino che contiene anche tutti i dati del neonato. Il prelievo viene quindi, inviato tempestivamente al laboratorio di screening, che verifica la qualità il prelievo, lo accetta ed esegue i test. Il laboratorio di screening ha anche la responsabilità della gestione dei dati (anche sensibili) del neonato. In caso di alterazione di uno o più biomarcatori, suggestiva di una malattia fra quelle indagate, viene richiesto al punto nascita un secondo prelievo di controllo e, solo in caso di conferma delle alterazioni, il neonato viene riferito al centro clinico di competenza ed al laboratorio diagnostico per le analisi di conferma. È anche possibile che, sulla base dell’entità dell’alterazione riscontrata o per le caratteristiche di alto rischio della malattia, il neonato venga direttamente convocato presso il centro clinico senza attendere il risultato del secondo test di controllo.
Va chiarito che una alterazione al test di screening neonatale, anche se confermata sul test di controllo, non costituisce diagnosi di malattia, che è possibile solo attraverso la procedura di conferma diagnostica. Nel caso la diagnosi venga confermata, il centro clinico prende in carico il neonato per iniziare tempestivamente il trattamento specifico, iniziare il follow-up clinico e biochimico e, eventualmente, completare l’iter diagnostico con ulteriori indagini, anche a livello molecolare.
- Normativa italiana nazionale sullo screening neonatale:
- Legge 5 febbraio 1992 n. 104
- DPCM 9 luglio 1999
- Legge 23 dicembre 1993 N. 548
- Legge 24 dicembre 2007, n. 244
- Legge 27 dicembre 2013, n. 147 – art. 1, comma 229
- Legge 19 agosto 2016, n. 167
- Decreto del Ministero della Salute 13 ottobre 2016